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martedì 23 ottobre 2018




Ben ritrovate, continuiamo ancora con la carrellata delle segnalazioni: questa volta è il turno di Maria Caterina Basile con il suo libro pubblicato il 20 settembre 2018. Andiamo a scoprirne un po' di più.


Titolo: “Nostalgia di cartapesta”
Autore: Maria Caterina Basile
Casa Editrice: AUGH! Edizioni
Collana: Frecce
Pagine: 82
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo: 9,90 euro
Formato: libro
ISBN: 9788893432276


Sinossi:

    Nella cornice di una città barocca come Lecce ed in quella della sua arcaica e animata provincia, si svolge la vicenda di Salvatore D’Amato, trentenne dall’animo irrequieto e visionario.
   Figlio di una maestra e di un direttore di banca, ha alle spalle un’infanzia agiata ma povera di affetti. Turbato profondamente dal divorzio dei genitori, dalla depressione della madre e dall’abbandono del padre, all’età di diciotto anni decide di andare a lavorare presso il prozio Enzo. Quest’ultimo, anziano maestro cartapestaio, gli rivela i trucchi di un antico mestiere e lo accoglie in casa.
    Salvatore ha un carattere particolarmente sensibile che lo porta a isolarsi dal mondo circostante – soprattutto da quello familiare, che sopporta a stento – e a rifugiarsi in realtà fantastiche, oniriche. Questo continuo sottrarsi alle difficoltà della vita gli ha impedito di diventare adulto e sempre più urgente si fa, in lui, la necessità di mutare le sue sofferenze in un’esistenza appagante.
   Il libro si apre con la morte della nonna e si chiude con quella del fratello tossicodipendente, Fernando. Nel mezzo, una profonda trasformazione interiore porta il protagonista ad infondere nel presente e nel passato l’incanto delle sue visioni, rendendo vivibile il primo e accettabile il secondo. Fondamentale, in tale cambiamento da succube a “creatore”, la briosa figura del prozio Enzo, il quale, con infinita pazienza, lo guida verso una svolta definitiva, insegnandogli ad avere fiducia nella vita, a perdonare, a spezzare la schiavitù della rabbia.
   Salvatore conosce infine Maria Elena, ragazza madre in fuga da un compagno con problemi di droga. È assieme a lei e a suo figlio Riccardo che inaugura una nuova fase della sua vita: osservando la spontaneità e la tranquillità con le quali il bambino riesce a dare fondamento al gioco, Salvatore compie infatti il passo decisivo verso una maturità in cui il fanciullo e l’adulto, la realtà e il sogno convivono serenamente.

Nota bio-bibliografica:

    Maria Caterina Basile è nata a Taranto nel 1981. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università del Salento. Le sue liriche sono apparse su diverse antologie e sulla rivista Gradiva, International Journal of Italian Poetry(Stony Brook, NY, 2011). 
    È autrice di Timothy Leary. La religione della coscienza dalla rivoluzione psichedelica ai rave(Alpes Italia, Roma, 2012).
    Attualmente vive in provincia di Lecce.
Estratto

    Ho la nausea, mi si è chiuso lo stomaco. Mia cugina, che quella sera al Duomo mi ha ripreso per una birra bevuta al chiaro di luna, è alla decima portata. Almeno credo, ho perso il conto. Mi guardo intorno e mi chiedo come sia umanamente possibile ingurgitare tali quantità di cibo; in un’altra sala c’è anche una tavola preparata solo per i dolci, il gran finale.
Mio fratello Francesco non è potuto venire per “inderogabili impegni di lavoro” e Fernando… non so nemmeno se l’hanno invitato, credo proprio di no. Mia madre c’è, ma è come se fosse altrove: ha le pupille dilatate e ogni tanto le viene la bava alla bocca. Tra storie di esorcismo e strampalati consigli culinari presi da non so quali ricettari di personaggi famosi, mi assilla perché mangi qualcosa. Mi fa paura e ribrezzo.
    Nel frattempo, in mezzo a squilli di telefonini, tintinnii di calici e schiamazzi, gli intrattenitori cantano e invitano alle danze. C’è una felicità insalubre nell’aria, una superficialità vibrante e nevrotica. «Ecco» farfuglio tra me e me, «abbiamo barattato la democrazia con telefonini, televisori al plasma e libri di ricette». Sono ubriaco e non devo essere nemmeno io un bello spettacolo: parlo da solo.
Provo una tristezza nel cuore così profonda che non riesco nemmeno a raccontarla, è una tragedia. Quasi prendessi parte anch’io al baratto e diventassi niente, e mi vergogno e mi pesa. Sento il bisogno di uscire, ma per andare dove? Un porto sicuro, la pace. E poi?
    Osservo lo zio Enzo seduto di fronte a me: mangiucchia, soprattutto beve. È ubriaco pure lui. Tutt’a un tratto si volta e prende un sacchetto di plastica appeso alla sedia; con totale disinvoltura estrae un paio di vecchie ciabatte e, slacciatesi le scarpe eleganti che dovevano fargli davvero un gran male, le indossa esprimendo un sollievo così profondo che si lascia scappare un rutto. I commensali lo guardano inorriditi, ma poi distolgono subito l’attenzione facendo finta di niente; io inizio a ridere di gusto, come non ridevo più da non so quanto tempo. Lo zio Enzo è così: si gode la vita a prescindere e vede e crea bellezza ovunque, non gliene importa niente dei giudizi altrui, l’unica cosa che conta per lui è stare bene, in qualunque situazione. Privo di ogni impaccio, si alza e si unisce al trenino di invitati che scivola tra i tavoli e tenta addirittura di coinvolgermi nella danza, ma invano. Un ottantenne ubriaco salta, balla e invita un trentenne altrettanto ubriaco, ma seduto, a divertirsi: capisco di aver toccato il fondo. Resto al mio posto per tutta la durata dell’evento: continuo a bere e, per fortuna, nella baraonda di danze, brindisi, canti e piatti che vanno e vengono, nessuno fa caso a me.



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