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mercoledì 30 ottobre 2019

Segnalazione per Michele Mirenna

Avanti, entra 
di 
Michele Mirenna

Il "Phelipe Moròn" ha dato dimora alle 
peggiori menti criminali. Ogni dottore ha il 
dovere di curare ognuno di loro. 
Ma come si può curare chi non ha alcun male? 
Come si può salvare chi è già morto una volta? Come si fa a 
ricordare?

-       GENERE: Narrativa/Letterature – Thriller/Horror
-       EDIZIONE: 1^
-       ANNO PUBBLICAZIONE: 2019
-       FORMATO: 11,4 x 17,2
-       FOLIAZIONE: 328
-       COPERTINA: Cartonato
-       INTERNO: Bianco e nero

ESTRATTI:
-       Nolàn e la tavola intagliata
In uno dei viaggi più importanti per ciò che videro tra gli uomini di quelle popolazioni nella provincia di Ratchaburi in Tailandia, mentre scavavano tra le macerie di un’abitazione devastata a seguito di un’inondazione, Nolàn trovò una tavola di legno dove al suo interno era stata intagliata la figura di una qualche Dea legata a credenze del posto. Era così bella quell’immagine che decise di ripulirla per bene, renderla quanto meno poco pericolosa a causa delle numerose schegge che fuoriuscivano dai lati, rimuovendole. Quindi gli diede una timida restaurata con i pochi attrezzi e le poche lezioni d’arte apprese dal padre quando era più giovane, volendola regalare in dono, simbolo del suo amore, a Teresa. Intendeva farlo semplicemente per il bisogno viscerale che ti colpisce quando ami qualcuno. Quando desideri soltanto vederle trattenere il fiato per una situazione che soltanto tu, suo amante, saresti stato in grado di farle vivere. Quando tieni a lei perché è lei che ti tiene attaccato a questo mondo senza neanche accorgertene veramente. Almeno non finché quella persona non la perdi …
L’immagine di quella figura femminile portava inciso sul retro un nome. Fride.
Non era la raffigurazione di una Dea quella. 
Fride era l’innominabile demone della perversione e massacro.
Nolàn raccogliendolo e prendendosene cura attraverso quella tavola, ne era divenuto innocentemente un apostolo. 

-       Quella sera
La sera del 13 maggio 1990 mi trovavo nel mio ufficio a sistemare le analisi degli ultimi test clinici effettuati ad un anziano affetto da un disturbo di doppia personalità molto acuto. Il sig. Fresèn.
Lo sforzo di trovare un nesso alle azioni di quell’uomo nelle ultime settimane avevano causato in me un forte esaurimento nervoso e quella sera, il mal di testa non tardò ad arrivare. Quella fastidiosa immagine disturbata dai luccichii dissonanti davanti ai miei occhi, ormai era diventata come routine delle giornate maggiormente stressanti per me ed il mio fisico. Ma “the show must go on” come si usa dire, anche se in verità, in quel posto c’era ben poco di spettacolare da portare avanti. Era più come una pietra terribilmente pesante al quale culmine vi era agganciata una catena direttamente legata alle nostre menti. Che nonostante anni e anni di studi, risultavano spesso inefficaci nel loro prezioso sapere.
Tolsi gli occhiali e li appoggiai senza cura sulla scrivania, aprii il cassetto posto sulla destra accanto alla finestra che dava sulla famosa scogliera e presi il barattolino delle aspirine. Svitai il tappo ed una mi cadde sulle gambe. Preparai un bicchiere d’acqua e la mandai giù.
Stavo assaporando il virtuale piacere di un sollievo, quando una forte scossa alla tempia pose fine a quel momento intimo con i miei problemi. Causa del mio mal stare penserà e adesso vorrei tanto fosse stato così e firmerei persino l’opportunità di scambiare la causa di quel trauma con il principio di un infarto. Almeno sarei svenuto e con un po’ di fortuna non avrei ricordato più nulla. Ma purtroppo sono ancora qui a raccontare tutto. 


-       Non lo sapevo
Anche stamani come più o meno due settimane fa, passeggiavamo tutti come se stessimo cercando qualcuno al quale raccontare la nostra storia. Da lì a poco senza neanche accorgercene saremmo stati a conoscenza delle nostre vite. 
Le prime volte, intuimmo che al di là di quelle mura vi era una potente corrente d’acqua. Ne sentivamo il dimenarsi feroce e arrabbiato anche standocene rinchiusi e liberi in quel cortile. Poi un giorno alcuni di noi percepirono delle gocce gentili bagnare i nostri corpi. Nei volti. Ci raccontammo persino questo le volte seguenti. 
Io no però. Non riuscivo mai ad aprirmi con nessuno, non ne sentivo la necessità per stare meglio. Sconoscevo il significato di benessere.
Al contrario invece, ascoltai molto. Quasi ogni cosa vivesse con me ormai era di mia più specifica conoscenza. Qualcuno li avrebbe potuti chiamare miei amici a quel punto. 
Per me invece erano soltanto lo specchio di ciò che avrei dovuto rappresentare anch’io. 
Solo che a differenza loro, non lo sapevo. 

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