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lunedì 19 settembre 2022

Segnalazione: Il fantasma Travaglini di Luigi Micucci




Titolo: Il fantasma Travaglini

Autore: Luigi Micucci

Editore: Brè Edizioni

Pagine: 256

In ebook solo su Amazon a 3,99€ anche in KU

In carta a 14€ nelle principali librerie online e fisiche

Genere: humor, divertente

Link Amazon https://amzn.to/3QjJZSM

In vendita dal 15 luglio 2022





Sinossi




La vicenda si svolge a Monza nel 1960. Sandro Merlini è il titolare di un’agenzia di pompe funebri, tramandata dal padre. Mentre si accinge a fare il suo lavoro, lo attende una sorpresa: il morto, Egidio Travaglini, è sparito, la bara è vuota. Al povero becchino non resta che fare la denuncia, tra l’ilarità e le prese in giro degli amici. Da questo momento iniziano le indagini. In una provincia dove in prevalenza si parla in dialetto, si rincorrono scene esilaranti di persone che raccontano di avere visto il defunto… dopo la sua morte. Tra debiti di gioco, fratelli acquisiti, gemelli che si scambiano l’identità si rincorrono situazioni paradossali, grottesche e divertenti. Un giallo, ma soprattutto il ritratto di una provincia ingenua, di persone schiette che compongono un romanzo spassoso, da leggere sempre con il sorriso sulle labbra.





Biografia 



 

Luigi Micucci, segno zodiacale pesci, è nato nel marzo del 1953 a Monza, dove risiede tuttora. Ha sempre lavorato nel settore dei trasporti marittimi internazionali, attività che svolge sino alla fine del 2019, presso un’importante casa di spedizioni con sede a Segrate. 

Sposato con Anna Maria e padre di Alberto e Virna, nel 2021 diventa nonno di una meravigliosa bambina di nome Sveva. Un viso dolce, un sorriso birichino, un nasino alla francese (tutto il contrario del suo). Attualmente in pensione, Luigi scrive da qualche tempo per diletto cercando in questo modo di tenere vivi i più bei ricordi della giovinezza. Note particolari: motociclista da una vita, pescatore provetto. Il Fantasma Travaglini non è la sua prima opera edita.






Estratto

 

Approfittando di un momento di tranquillità, il brigadiere scelto Felice Spaccaforno aprì il cassetto della scrivania, prese la Gazzetta dello Sport e iniziò a sfogliarla.

“Mannaia!” inveì poco dopo all’indirizzo della recluta Crippa.

Il tempo di leggere qualche titolone sull’imminente gara ciclistica Milano-Sanremo e il giovane poliziotto lo aveva interrotto. 

“Che c’è?” chiese in malo modo.

“Un tizio all’ingresso, chiede di parlare col maresciallo.”  

“Che tizio?” rispose Spaccafornomentre ripiegava il quotidiano.

“Uno dell’ospedale.”

“Nome?”

“Ma che cazzo te ne frega del nome” gli venne da rispondergli. 

Era un uomo di mezza età che voleva parlare con il maresciallo punto e a capo. Il maresciallo c’era? No. E allora bastava dirglielo e quello sarebbe ritornato più tardi e pace amen. E poi il nome non glielo aveva detto né tanto meno lui glielo aveva chiesto.

“Porca troia, prima o poi ti mando affanculo” pensò Crippa “chiedo e torno.” E ritornò sui suoi passi.

Il brigadiere gongolava. 

Non che Crippa gli fosse antipatico ma i giovani... ehhh! I giovani.

Secondo lui i giovani bisognava tenerli costantemente sul chi vive; più degli altri Crippa, un poliziotto di leva, per giunta figlio di papà e raccomandato dall’alto. 

Trasferito a Monza l’anno precedente dal centro addestramento reclute, aveva preso da subito una confidenza esagerata con la bicicletta d’ordinanza. 

“Brutto affare” si era detto il brigadiere. 

Che a Spaccaforno toccassero tutto, ma non quel velocipede che teneva sempre lustro e oliato e che col trascorrere degli anni era diventato il suo personale mezzo di trasporto casa-lavoro e viceversa, durante tutta la bella stagione. 

Ancora un mesetto anche meno e ci avrebbe rimontato la sella che ai primi freddi autunnali rimuoveva personalmente per evitare che i colleghi facessero un uso sconsiderato del velocipede durante l’inverno. Per maggior sicurezza la custodiva al sicuro nella cantina di casa sua, avvolta in una pagina di giornale. La bicicletta, invece, svernava al calduccio sotto una coperta militare nella rimessa del commissariato. 

“Il signore di là è Carlo Sirtori, infermiere al San Gerardo.”

“E che vuole?”

“È qui per Egidio Travaglini, il morto scomparso.” 

A domanda risposta. Col cazzo lo fregava ancora. 

Al brigadiere la cosa puzzò. L’infermiere del pronto soccorso? Cosa diavolo poteva avere costui da riferire alla Polizia dopo quasi una settimana dalla scomparsa del cadavere? Morale della favola: ‘che s’attaccasse a ’sta minchia.’ Poi, però, la curiosità ebbe il sopravvento.

“Che si accomadasse” ordinò. 

Appena in tempo, ancora pochi istanti e l’infermiere avrebbe alzato i tacchi per la seconda volta.

Erano notti che non dormiva. Ma se lui aveva ragione non di meno ne aveva sua moglie. In fondo chi era lui per mettere in dubbio il resoconto di un medico e per giunta di uno specialista? Ciò non toglie che sempre lui, anche se in veste di semplice infermiere, il ‘morto’ l’aveva visto respirare ancora quando la Tirabaci l’aveva preso in consegna.  

“Tira qualcos’altro quella lì” brontolava strada facendo, diretto in commissariato. 

Rodolfo Messa, suo collega al geriatrico, un giorno gli aveva confidato che pur di fare carriera, l’infermiera aveva avuto una relazione licenziosa col professor… ma lasciamo perdere va là, in fondo non erano fatti suoi. Viceversa erano affari suoi il peso sullo stomaco che provava da giorni e l’inappetenza seguita, oltretutto accompagnati da improvvisi giramenti di testa e senza contare gli incubi. Il più frequente era Egidio che tra le fiamme dell’inferno lo accusava di reticenza e di vigliaccheria. Basta! Si era detto, il momento di svuotare il sacco era giunto.

Quella mattina, seduto dirimpetto al brigadiere Felice Spaccaforno, si rese subito conto di avere a che fare con lo stereotipo del vero meridionale doc. 

Ci credo bene. Il militare non si era rasato e il pelo irto della barba incolta gli rimarcava i lineamenti del viso scuro, in netto contrasto con i capelli bianchi dal taglio rigorosamente a spazzola. Forse per questo motivo gli zigomi del brigadiere apparivano esageratamente sporgenti e gli occhi scuri, piuttosto inquietanti. Due biglie nere come la pece, ecco cos’erano quelli lì, mica occhi, che lo fissavano con una diffidenza a dir poco esagerata. 

“Dunque che c’è?” gli chiese il graduato senza tanti preamboli.

“Ma dove cazzo l’ho già visto?” Sirtori era certo, il viso del poliziotto gli ricordava qualcuno, ma chi?

“Signor maresciallo!” esordì. 

“Brigadiere scelto, prego” lo corresse Spaccaforno.

Allora l’infermiere, scusatosi per l’inesattezza, un po’ per forza d’inerzia e un po’ per rispondere alle domande del poliziotto, raccontò per filo e per segno di Egidio Travaglini, del suo arrivo in ospedale, eccetera, eccetera. E più dipanava la matassa e più l’apprensione allo stomaco lasciava spazio a una piacevole sensazione di fame che nella mente di Carletto non tardò a configurarsi in una bella michetta con dentro un mezzo etto di mortadella e due peperoni sott’aceto. 

“Minchia! Unni l’ho già visto chistuomu?” 

Questa volta era Spaccaforno a farsi la medesima domanda. 

E così nella comune incertezza se si fossero già visti oppure no e se sì dove e quando, trascorse ancora qualche minuto prima che Amedeo Crippa terminasse di battere a macchina la deposizione dell’infermiere.

Fimmi qui” disse infine il brigadiere, mettendo a fuoco per l’ultima volta il volto del suo dirimpettaio, deciso a ricordare. E l’altro, intuito l’antifona, decise di darsi una mossa, firmò il documento senza rileggere e indossato il cappotto scomparve. 

“Chi Diu u benedica!” esclamò Spaccaforno sistemando il documento bene in vista sulla scrivania di Cattadori.

“Che ti dicevoChippafigghiù miùbeddu! Sto connuto ci ha preso paura e ora, dopo gionni dall’accaduto, quatto, quatto, cci veni a raccontare ri chistu e richiddu pensando che noi dui, ma soprattutto tu, e fessi semu!”

Crippa accennò un sorriso.

Nello stesso momento, a un centinaio di metri dal commissariato, Carletto Sirtori stava immobile sotto il portico del cinema Manzoni. 

Ustia!” esclamò senza volerlo. 

Un passante incuriosito si girò a guardarlo. 

Giovedì diciotto dicembre millenovecentocinquantotto, San Siro, in campo Inter contro Juventus, risultato finale Inter 1 Juventus 3. 

Ma sì certo, era lui, il poliziotto.

Tribuna popolare, terza fila, un freddo polare. Il brigadiere era l’uomo che gli sedeva accanto, ma con la barba fatta, in borghese, la sciarpa al collo e il borsalino di feltro sulla testa. Porca troia! C’era mancato poco che venissero alle mani.  

I soliti ‘culi’ bianco neri. L’arbitro, venduto, certo Vincenzo Orlandini, aveva interrotto la partita precedente al 58’ causa nebbia, quando i nerazzurri vincevano per due reti a zero. 

“‘Mavadavialcù’” concluse, rimettendosi in marcia “un terùn e per giunta juventino. Il massimo!”


 

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